La storia agricola ed alimentare nel basso medioevo del Salento
Il passaggio dall’alto al basso medioevo.
L’ Impero orientale, dopo il mille, aveva permesso nel Sud d’Italia, una produzione ricca e varia, almeno fino a quando non fu costretto a far fronte alle mire normanne a partire dal 1055, nello stesso tempo in cui si verificava una grande carestia.
Infatti l’alto medioevo Salentino è caratterizzato, come del resto in tutto il meridione d’Italia, dal senso di precarietà, della paura, del pericolo, affermandosi le abitazioni e le convenienze in villaggi rupestri, testimoniati in tutta la costa salentina dell’Adriatico e dello Ionio ed all’interno della Puglia, della Lucania, centri anche di pratiche religiose monacali di tipo orientale, riprendendo un modo di vivere agricolo e frugale basato sulla coltivazione di cereali ed ortaggi, oltre che di uliveti e vigneti, su terreni stappati alla boscaglia ed alle rocce in zone carsiche, dove venivano scavate cisterne per la raccolta di acque piovane.
In tali condizioni l’alimentazione è costituita da prodotti vegetali, da carni di animali da cortile, di pecore, da prodotti della pesca e della ricerca agricola; insomma, si stabilisce un tipo di parziale privatizzazione, visto che gli abitanti erano contadini e gli stessi monaci, non solo praticavano il lavoro rurale, ma ne incrementavano l’attività tra le popolazioni, modificandone i sistemi ed importando nuove piantagioni, come la quercia vallonea, il gelso, il carrubo, il pino d’aleppo ecc., cambiando il paesaggio salentino e rendendo più accettabile e più umano il tenore di vita.